Google: “stop alle censure o usciremo dalla Cina”

13/01/2010 08:00 CET

di Fabio M. Zambelli

00000a_fotonews001Dopo aver piegato la testa ai voleri di Pechino il gigante di Internet si desta e si ribella alle censure che è stata obbligata a fare dal suo sito a tutte le ricerche scomode. Aggiornato.
Google.cn è la versione cinese del motore di ricerca più usato al mondo, un sito che fino ad oggi non dava risposte sincere se interrogato su temi “scomodi” come, per esempio, i massacri di piazza Tienanmen ed in Tibet.

02-08033b_googlecinaA breve la situazione potrebbe finalmente cambiare secondo le promesse di “nuovo approccio” da parte di Google.

I servizi di Google sono stati attaccati, qualcuno ha forzato gli account Gmail di attivisti dei diritti civili e non è difficile supporre chi possa essere interessato a quei messaggi, fondamentalmente contro i governanti cinesi, che ancora alla democrazia non aprono le porte.

La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Si è preoccupata pure Hillary Clinton, segretario di stato USA, di questi attacchi a Google e ad altre società statunitensi. (Aggiornamento del 21/01/2010: eccola illustrata accanto mentre risponde alle domande sulla libertà di Internet).

“Ci è sempre stato scomodo dover aderire alle regole locali, che imponevano restrizioni ai nostri servizi” scrive il capo dei servizi legali di Google dando la notizia più importante: “termineremo di censurare il web cinese”!

Se Google non riuscirà a far passare questa, ovvia altrove, regola potrebbe anche chiudere i servizi online e, potenzialmente, abbandonare gli uffici in quel paese. Il motore di ricerca è consapevole delle conseguenze e delle eventuali ritorsioni cinesi.

Baidu è comunque il leader di mercato tra i motori di ricerca cinesi con il 63% della quota ed è molto fedele alle imposizioni di Pechino. Yahoo! e Microsoft potrebbero guadagnare terreno dalle mosse di Google, se anche loro non seguiranno la scia democratica che ha illuminato Mountain View.

Viva Google, verrebbe da urlare a squarciagola davanti al Zǐjinchéng (Città proibita a nord di piazza Tienanmen), se non ci fosse la minaccia di finire in prigione per aver espresso la propria opinione. Speriamo che sia solo l’inizio di una valanga di azioni analoghe da parte di altre aziende che si limitano a rispondere senza alcun nerbo “noi rispettiamo le leggi locali“, quando accusate di essere accondiscendenti rispetto a censure per gli utenti cinesi.

Solo in rari casi la rete di Internet è stata libera in Cina, ma solo per gli stranieri di passaggio per poche settimane.

Apple, che in Cina fa assemblare la maggior parte dei suoi prodotti, è stata punita quando ha vagamente sfiorato uno dei temi cari ai censori cinesi.

Aggiornamento del 13/01/2010: secondo l’AFP – Agence France Presse in Cina, da oggi su Google.cn, è visibile la storica fotografia dell’uomo che aveva bloccato la colonna di carri armati nel 1989. Finora era stata censurata e continua ad esserlo su baidu.



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