L’opinione di Chiariglione sui codec tirati in ballo da Jobs

04/05/2010 08:00 CET

di Fabio M. Zambelli

00000a_fotonews001Non è proprio vero che tutti i codec sono coperti da brevetti e ce lo conferma l’inventore di MPEG, tuttavia su cosa sia open è meglio intendersi. Un chiarimento.
Se deve essere battaglia Adobe Flash vs HTML5/H.264 meglio metterla nei termini giusti e, se non lo fa chi ha inventato il comitato MPEG – Moving Picture Experts Group, non ci viene in mente nessun altro. Glielo abbiamo chiesto, anche perché dobbiamo andare orgogliosi che si tratti di un italiano.

18-08765b_leonardochiariglioneLeonardo Chiariglione nel 1988 ha creato la standardizzazione a capo delle codifiche multimediali che tutti usiamo, una sola citazione la merita MP3 (MPEG 1 audio layer 3). L’ingegnere è uno di quei connazionali che tengono alta la bandiera nazionale degli inventori ed innovatori, recentemente ha spiegato in TV che la prossima idea è di trovare una soluzione per “rimunerare colui che crea, colui che esegue, colui che recita… tutte queste persone che producono il contenuto musicale o altro audiovisivo che vogliamo, devono essere ripagate”.

Poiché Steve Jobs ha voluto scaricare Flash dai dispositivi mobile di Apple e sottolineare quanto il plug-in di Adobe funzioni male sui Mac, allora è meglio fare un po’ di chiarezza.

Ecco cosa ne pensa Chiariglione.

Mi è stato chiesto di commentare l’affermazione di Steve Jobs.

“All video codecs are covered by patents. A patent pool is being assembled to go after Theora and other “open source” codecs now. Unfortunately, just because something is open source, it doesn’t mean or guarantee that it doesn’t infringe on others patents. An open standard is different from being royalty free or open source”.

Penso che la frase “All video codecs are covered by patents”, così com’è scritta, non sia vera. C’è il vecchio codec H.120 con trent’anni di servizio ed H.261 che non ha più di venti e che, probabilmente, sfuggono alla caratterizzazione di Jobs. Probabilmente lui intendeva dire “all video codecs _of practical interest today_ are covered by patents”, una frase qualitativa, e quindi ambigua, che però molti nel campo sottoscriverebbero.

Non sono invece al corrente di “patent pool (that) is being assembled to go after Theora and other “open source” codecs now”. Sarebbe utile che Jobs fornisse nomi e cognomi.

Penso che Jobs abbia ragione quando dice “Unfortunately, just because something is open source, it doesn’t mean or guarantee that it doesn’t infringe on others patents”. Infatti, se non vado errato, un codice rilasciato con licenza Mozilla è Open Source, ma la licenza mette in guardia l’utilizzatore del codice che per l’uso possono essere richiesti brevetti di terze parti (v. ad esempio 2.1. The Initial Developer Grant: “The Initial Developer hereby grants You a world-wide, royalty-free, non-exclusive license, _subject to third party intellectual property claims_”).

Concordo con Jobs quando dice “An open standard is different from being royalty free or open source”. Senza voler fare affermazioni apodittiche, noto che nel mondo reale io posso entrare in un teatro (che è quindi “open” al pubblico), ma questo non significa che l’ingresso sia “free” (anche se qualche volta lo è). Invece l’ingresso ad un club non è “open” (anche se qualche volta è “free”) perché se non sono membro del club non entro, neanche se sono disposto a pagare, a meno di richiedere un’autorizzazione specifica.

Mi sembra quindi ragionevole definire “open”, come fa Jobs, uno standard che si può usare senza dover chiedere un’autorizzazione specifica (come succede per entrare in un teatro), indipendentemente dal fatto che l’accesso alla risorsa (standard o teatro che sia) sia a pagamento oppure gratis. È possibile svere idee diverse al riguardo di cosa significa “open standard” e possono essere tutte degne di considerazione. È infatti “solo” un problema di nomenclatura, per cui sarebbe utile mettersi d’accordo.

Leonardo Chiariglione



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