In Birmania i blogger non hanno diritti
04/05/2009 07:00 CET
Alla larga anche da Iran, Siria, Cuba, Arabia Saudita, Vietnam, Tunisia, Cina, Turkmenistan ed Egitto se volete raccontare al mondo, senza censure o peggio, cosa succede in questi paesi.
Il CPJ – Committee to Protect Journalists ha pubblicato la lista dei 10 peggiori paesi dove essere blogger.
Dove i governanti e militari non riescono a mettere paletti fisici e regolamentari per impedire la libera comunicazione dei giornalisti e dei liberi cittadini che si esercitano nel cosiddetto "citizen journalism", arrivano le manette, gli isolamenti e magari pure le sentenze di morte. Dove?
Il più grande oppressore di Internet è la Birmania (Myanmar per la dittatura locale dal 1989), compreso tutto il resto della stampa. In questo paese il web è accessibile solo all'1% di tutta la popolazione. Principalmente l'accesso a Internet è fornito in cybercafe altamente controllati.
Al secondo posto nella classifica di CPJ c'è l'Iran, dove è praticamente impossibile criticare online il governo, la religione, la rivoluzione islamica ed i suoi simboli. C'è la condanna a morte per chi promuove la corruzione, la prostituzione e rinnega la religione.
Al terzo posto la Siria, dove i siti politici sono bloccati. Qui (sembra di sentire l'eco del decreto Pisanu sull'uso dell'accesso a Internet in Italia) i gestori degli Internet cafe devono annotare l'identità ed il tempo d'uso di ogni cliente.
Al quarto posto l'isola di Cuba, isolata non ancora per molto visto il prossimo allacciamento di un cavo sottomarino con il Venezuela per accedere a Internet. Per ora comunque il diritto di andare online è lasciato solo ai turisti, oltre che ai dirigenti governativi. Nel paese si leggono solo siti dove si parla bene di Cuba.
Al quinto posto l'Arabia Saudita, dove 400.000 siti non possono essere consultati. Molti trattano di politica, di società e di religione, il divieto è esteso a tutti i materiali ritenuti indecenti.
Al sesto posto il Vietnam, le notizie sono tutte controllate dal governo e le autorità chiedono la collaborazione di compagnie come Google, Microsoft, Yahoo! per conoscere i nominativi di chi usufruisce delle loro piattaforme per fare i blogger.
Al settimo posto la Tunisia, in questo paese gli ISP registrano tutti gli indirizzi IP. Tutto il traffico passa da un collo di bottiglia voluto dal governo, che monitorizza la posta elettronica ed altri contenuti.
All'ottavo posto la Cina, dove la più grande censura al mondo opera indisturbata, non sfugge nulla o quasi alle autorità. Tra 300 milioni di abitanti qualche critica riesce scappa ma chi esagera con la propria libertà deve mettere in conto l'incarcerazione sicura.
Al nono posto il Turkmenistan, una delle nazioni più isolate del pianeta. Quando nel 2007 ha aperto il primo Internet Cafe lo hanno controllato i soldati, il collegamento era orribile (ovviamente limitato) ed il prezzo insopportabilmente alto. L'accesso mobile è censurato.
Al decimo posto l'Egitto, dove i siti bloccati non sono molti ma il controllo è assiduo. Egypt Telecom è l'unica telecom autorizzata a fornire la connettività per tutti gli ISP.
La situazione tristemente disegnata da CPJ non è molto diversa da quella di RSF – Reporters Sans Frontières, aggiunge solo l'Egitto al gruppo delle nazioni che non dimostrano di essere i luoghi più democratici di questo pianeta, scartando invece Bielorussia, Corea del Nord, Libia, Maldive, Nepal ed Uzbekistan dalla top ten.